Deforestazione – Parte II: Focus sull’Amazzonia

La Foresta Amazzonia non è solo la più grande foresta pluviale del mondo con una superficie di circa 5.5 milioni di km2 ma rappresenta anche la casa di circa il 10% di tutte le specie animali e vegetali conosciute. Essa si estende su nove nazioni: Brasile, Bolivia, Perù, Ecuador, Colombia, Venezuela, Guyana, Suriname e Guyana francese.

La Foresta Amazzonica assorbe circa 2 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno (pari al 6% delle emissioni globali) e produce circa il 20% dell’ossigeno mondiale.

Lo sfruttamento dell’Amazzonia affonda le sue radici nel periodo del boom commerciale della gomma, dalla seconda metà dell’ottocento al primo decennio del XX secolo. Questo periodo portò con sé non solo una prima fase di disboscamento al fine di far posto all’espansione delle piantagioni di caucciù[1] ma, ancor più grave, vide lo sterminio di migliaia di indigeni utilizzati come schiavi.

Un detto degli Indios dell’Amazzonia recita così: << Gli alberi sono le braccia che sorreggono il cielo. Quando avremo tagliato l’ultimo albero, il cielo ci cadrà addosso. >>.

Il drastico cambio di marcia che portò i primi pesanti danni alla Foresta Amazzonica si ebbe in Brasile durante la dittatura militare, conosciuta come il “regime dei Gorillas”, che dall’1 aprile 1964 al 15 marzo del 1985 governò il paese.

Transamazônica, il lato oscuro:

Un altro importante passo che ha agevolato la deforestazione fu la costruzione della Transamazônica. Questa autostrada è stata inaugurata negli anni ’70 del XX secolo e al momento ha raggiunto una lunghezza di circa 4200 km. L’idea iniziale era quella di creare un lungo corridoio di collegamento per le popolazioni sia all’interno del Brasile che con gli stati di Colombia, Perù ed Ecuador. Purtroppo però questo progetto, mai terminato, ha favorito il raggiungimento di nuovi territori sia per lo sfruttamento di legname che per l’ampliamento di aree adibite all’allevamento e all’agricoltura. Un altro terrificante aspetto negativo legato a questa opera è dato dall’incalcolabile numero di persone, per lo più indigeni, che sono state torturate, trasferite con la forza, violentate e uccise.

Brasile, il futuro della Foresta Amazzonica:

Circa il 60% di questa foresta pluviale si trova in territorio brasiliano che, volente o nolente, ne rappresenta la nazione chiave nella lotta alla sua salvaguardia. Il Brasile, dopo le ultime elezioni politiche che hanno portato alla vittoria di Jair Messias Bolsonaro (1955- )[2] si trova difronte a una grande sfida ambientale e non solo.

Alcune affermazioni del neo Presidente non fanno ben sperare per il futuro: << Il paese non può avanzare se intere parti del suo territorio sono usurpate dalle riserve, dai parchi nazionali e dalle aree protette. […] >>.

Un altro esempio dell’impatto negativo delle infrastrutture sulla foresta è quello della diga di Belo Monte. Questo complesso idroelettrico, tutt’ora in costruzione, si calcola abbia già portato all’abbattimento di circa 175 km2 di foresta e all’allagamento di circa 500 km2 di territorio.

Da sapere:

La deforestazione non è data dal solo abbattimento degli alberi ma anche dagli incendi appiccati per distruggere tutta la vegetazione. Queste azioni permettono di fare posto alla coltivazione della soia, di cui il Brasile è il primo produttore al mondo, e all’allevamento di bovini che negli ultimi vent’anni è passato da 37 a 85 milioni ci capi di bestiame. 

La situazione in Amazzonia:

L’Istituto Nacional de Pesquisas Espaciais (INPE)[3] ha tra i vari compiti quello di analizzare i livelli di deforestazione in Amazzonia.

L’INPE ha calcolato che nel solo mese di maggio 2019 la foresta ha perso circa 739 km2 di alberi. Questo dato rappresenta un record per quello che è il primo mese della stagione secca.

L’Arte a sostegno dell’Amazzonia:

Nel 2013 il fotografo brasiliano Sebastião Salgado (1944- ) ha realizzato la mostra “Genesi” per sensibilizzare e sostenere il programma Living Amazon Initiative del WWF[4] che ha come scopo la salvaguardia dei territori e delle popolazioni dell’Amazzonia.

Non c’è più tempo.

L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC)[5] stima che la Terra abbia fino al 2030 per evitare una catastrofe climatica ma… se la Foresta Amazzonica fosse distrutta prima ?

Per ulteriori informazioni è possibile visitare i siti web dell’INPE (inpe.br), dell’IPCC (ipcc.ch) e del WWF (wwf.org).

Salvare la Foresta Amazzonica dallo sfruttamento e probabile distruzione è una delle sfide ambientali più importanti dei nostri giorni. La natura appartiene a tutti e ognuno di noi dovrebbe indignarsi davanti a quello che sta accadendo.


[1] Materiale ottenuto dall’estrazione del lattice dell’albero della gomma Hevea brasiliensis. [2] Politico ed ex militare, dall’1 gennaio 2019 è il 38° Presidente del Brasile. [3] L’Istituto Nazionale di Ricerche Spaziali del Brasile è stato fondato nel 1961. [4] Il Fondo Mondiale per la Natura è un’organizzazione internazionale di protezione ambientale fondata nel 1961 in Svizzera. [5] Il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico è un comitato delle Nazioni Unite fondato nel 1988 dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale e dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente. Il 12 ottobre 2007 è stato insignito, con il 45ºVicepresidente degli Stati Uniti d’America Albert Arnold Gore Jr. (1948- ), del Premio Nobel per la Pace.

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