L’attentato mortale a Shinzo Abe, oltre alle ovvie implicazioni politiche e sul futuro del Giappone, apre i riflettori sul sistema giapponese e sul relativo benessere. Anzi, malessere. Perché pare che il gesto dell’attentatore (che ha agito per motivi e fantasmi personali) potrebbe in qualche modo rispecchiare i profondi malesseri sociali che attraversano il Giappone. All’apparenza stiamo parlando di un Paese pacifico, ben ordinato ed educato, dove tutto funziona con una precisione svizzera. Sotto la superficie, tuttavia, si annidano inquietudini sempre più serpeggianti, con strascichi di violenza. L’emerito studioso Giorgio Amitrano ha dichiarato in proposito: “L’ordine e la disciplina che caratterizzano il Giappone sono basati sul sacrificio di tanti che piegano le loro vite al rigido sistema, pur di farlo funzionare. Sotto l’apparenza di un Paese perfetto, regna una gran solitudine che porta a fenomeni inquietanti”.
Come non considerare, infatti, gli “Hikikomori (le persone che si rinchiudono in casa) o gli “Johatsusha” (gli evaporati, cioè coloro che spariscono perché non reggono al peso di fallimenti esistenziali) ?
Il malessere sotterraneo, il malessere taciuto e soggiogato, può insomma tracimare in improvvisi ed efferati atti di violenza.
La morte del premier potrebbe ora dare nuovo impulso all’aumento delle spese militari e al rafforzamento delle spese delle Forze di Autodifesa. I giapponesi si sono ripetutamente dimostrati un popolo pacifista, ma questo episodio potrebbe far rivedere questo orientamento.