Un paese di tifosi come l’Italia sta preparandosi a votare, nonostante la fiducia nella classe politica sia in netta discesa. Proprio per questo sentiment, sempre più persone si disinteressano al voto e ci si attende un astensionismo rilevante. Sarebbe interessante capire se non andare a votare potrebbe essere un’azione (o una non-azione) avente un senso.
Il non-voto è comunque un atto politico, con una ricaduta politica.
C’è il non voto degli indifferenti, dei disillusi, di coloro che non credono più che gli esiti del voto possano mutare qualcosa nella loro esistenza. Costoro non sono motivati a decidere chi andrà al governo e ai poteri legislativi. L’indifferenza è il loro stato emotivo e mentale: qualcuno potrebbe sentirsi indifferente perché troppo ricco oppure perché troppo povero, comunque lontano dal mondo degli schieramenti di potere. In questa non-scelta non c’è alcun obiettivo da perseguire: c’è soltanto disinteresse. Il disinteresse di chi si sente lontano, soprattutto per un senso di delusione e di amarezza.
Poi c’è chi non vota per scelta, la scelta di chi non vuole continuare ad alimentare il carrozzone dei vari esponenti politici. È un non-voto di protesta, un atto di rivoluzione. È il gesto di chi dice “non condivido i candidati e i programmi elettorali, che in buona sostanza si assomigliano. Quindi non voto, votando scheda bianca o annullando la scheda, oppure semplicemente non andando a votare. E non voglio nemmeno cadere nella trappola dei cosiddetti partiti anti-sistema, il cui obiettivo è di entrare nel sistema, e che (qualora eletti) per rimanere al suo interno dovranno gioco forza ammorbidire i proclami e venire al patto con le ragioni dei poteri forti”. Insomma, questo è un non-voto con una motivazione già più significativa rispetto a quella dei meri indifferenti.
Poi c’è un non-voto militante, di chi non crede alla democrazia rappresentativa e allo stato democratico parlamentare. È l’atteggiamento degli anarcoidi, che vorrebbero costruire un nuovo tipo di relazione e ordinamento politico. Non vogliono continuare a dare legittimità a questo tipo di Stato, basato sulla rappresentanza, perché ritengono che la salvezza sociale risieda in altri tipi di modelli. Può avere una validità se, oltre a non votare, aggrega consensi intorno a nuovi ipotetici modelli di coesistenza collettiva.
Il non-voto non va demonizzato, ha una sua dignità all’interno delle dinamiche elettorali. È un diritto del cittadino. Ha senso se è un’astensione fondata su consapevolezze.