Oggi si vota e come dicono i manifesti del Pd dobbiamo scegliere. Ma su cosa siamo chiamati a fare questa scelta? Innanzitutto come era accaduto solo nel 1948 dobbiamo scegliere in quale parte del mondo vogliamo stare. Si ripropone infatti uno scontro tra Occidente e Oriente che riguarda la tavola dei valori fondamentali, il modello di società e la concezione del mondo perché – lo hanno detto bene Draghi e Biden all’Onu – dentro le crisi internazionali emerge uno contrapposizione radicale tra democrazia e autocrazia. Come nel ’48 dovevamo scegliere tra totalitarismo e democrazia liberale, oggi dobbiamo scegliere tra democrazia liberale, società aperta, globalismo e democratura, cioè dittature mascherate con elezioni plebiscitarie come accade in Russia, in Ungheria, in Turchia (qui con qualche eccezione), in Egitto, in India. Come nel ’48 il mondo comunista – la non liberta – era rappresentato dal Fronte popolare oggi in Italia la democrazia illiberale e rappresentata da M5s, Salvini e Meloni che non a caso hanno fatto cadere chi più rappresenta l’alternativa, cioè Mario Draghi. Come allora anche oggi siamo chiamati a una “scelta di campo” decisiva per il futuro dell’Italia, che è emersa plasticamente ieri e l’altro ieri con la Lega a manifestare sotto la sede dell’Unione Europea, con Conte che ribadisce l’equidistanza tra Ucraina e Russia mascherata dietro un ridicolo “neutralismo” e con le sconsiderate dichiarazioni di Berlusconi sulle intenzioni di Putin. Chi vota cdx sceglie di allontanarsi dall’Occidente, per entrare in una terra di nessuno che però ci soggiogherebbe alle strategie dei dittatori di tutto il mondo. Ma oggi in uno scenario in cui crisi economica, crisi energetica crisi pandemica si saldano pericolosamente, la salvezza dell’Italia come nel ’48 comporta decisamente scegliere l’angolo del mondo nel quale da 70 anni ha avuto garantiti libertà, benessere, diritti civili e sociali, eguaglianza. In quel lontano dopoguerra le donne e gli uomini chiamati al voto, meno istruiti di quelli di oggi, meno informati, quella scelta la seppero fare: la domanda è, noi la sapremo fare? o in preda ai nostri narcisismi individualistici postmoderni racchiusi nel breve itinerario tra Netflix e Instagram, falliremo la prova?
L’altra scelta strategica riguarda liberalismo e populismo. Nel 2018 gli italiani infatuati dalle promesse rivoluzionarie di un attore comico in disarmo, e dai richiami sovranisti e securitari di un capopopolo milanese scelsero il populismo.sovranista plebeo di Di Maio e Salvini, pagando dei costi immensi in termini di sviluppo, di dissipazione del denaro pubblico, di marginalizzazione internazionale, facendo precipitare il paese nell’anarchia dell’ “uno vale uno”, del clientelismo del RdC, di Quota 100, del 110%, del rifiuto di politiche energetiche lungimiranti per sudditanza alla Russia, della decrescita infelice e della protezione delle mille corporazioni esistenti nel paese attraverso una pioggia dei sussidi.
Ma la suggestione populista non ha riguardato solo gli elettori: si é abbattuta sulla sinistra e sul Pd in particolare alla disperata ricerca di attribuire al rifomismo di Renzi la sconffita elattorale e di saldare il conto di una guerra fratricida tra correnti post comuniste e post democristiane e sinceri democratici per il controllo del partito, che non si era fermata nemmeno davanti agli esiti distruttivi che essa comportava. Inseguire il M5s sulla strada della vocazione populista fatta di assistenzialismo, di ambientalismo ideologico, di massimalismo politico divenne la chiave di una possibile salvezza la cui massima espressione è stata confondere progressismo e populismo e ritenere che la riconquista di un presunto elettorato popolare passasse dall’enfatizzarne la domanda politica di protezione assistenzialista e corporativa sganciata dallo sviluppo economico, piuttosto che ripensare complessivamente il welfare ereditato dal ‘900 su cui si era fondato per quasi mezzo secolo l’intreccio tra sviluppo e giustizia sociale su cui si era fondata la democrazia italiana, tra sviluppo delle forze produttive e redistribuzione.
Alle elezioni dobbiamo scegliere dunque tra “draghismo” cioè tra lo sforzo di rifondare un liberalismo inclusivo che sappia spezzare la catena che tiene legato il progressismo riformista al populismo, e chi invece come il gruppo dirigente del Pd quelle catene vuore rafforzare nella convinzione che lì possa riprodurre le sue antiche parole d’ordine e la sua confort zone ideologica abiurando, alle necessità propria di qualunque forza di progresso di capire il mondo che verrà piuttosto che difendere quello che abbiamo dietro le spalle.
Sconfiggere il populismo reincarnato dal clientelismo plebeista e filoputiniano di Conte è un’altra priorità che è nelle disponibilità degli elettori: se dalle urne quella suggestione che ha paralizzato il paese per 5 anni verrà sconfitta, l’Italia potrà riprendere il suo cammino, certo difficile, di moderno stato europeo e occidentale che trae dalla riflessione sui suoi errori le ragioni di un effettivo cambiamento.
Oggi dunque siamo chiamati a scelte dirimenti: democrazia liberale contro democratura, liberalismo inclusivo riformista, europeismo contro sovranismo contro populismo. Che questa contrapposizione sia incarnata da Draghi da un lato e da Conte, Meloni e la maggioranza del Pd dall’altra rende chiaro quale scelte elettorali sono in grado di esprimere la consapevolezza che queste non siano delle elezioni “normali” ma decisive e che chiamano tutti all’assunzione di una responsabilità verso il paese e il suo futuro.