di Alberto De Bernardi

Un’uscita di scena ridicola, quella di Conte, come il Carosello di Ernesto Calindri.

Senza domande, senza risposte. Qualche avvertimento qua e là.

È finita così. (cit. Gabriele Lavia)

Dietro il ridicolo c’è però l’arroganza di un uomo piccolo, ma convinto davvero di essere un leader politico … certo poi se il PD glielo lascia credere.

Infatti, l’unica effettiva novità di questa messinscena casaliniana è che Conte si candida a guidare una nuova alleanza organica PD-M5S-Leu, quasi un partito unico, che si è venuta definendo proprio nelle dinamiche della crisi del Conte II.

È una presuntuosa autoproclamazione, una sorta di ripetizione in versione pugliese del predellino berlusconiano, con i partiti che plaudono o si adeguano.

Da questo predellino 2.0 Conte ha sancito la fine del centrosinistra storico e la nascita di un soggetto politico demopopulista, unico nel suo genere nel mondo occidentale, che non ha nessuna radice nelle famiglie politiche europee.

Che non è né di destra, né di sinistra e nella quale confluiscono pallidi eredi del PCI in versione dalemiana e della sinistra democristiana, resti della tradizione qualunquistico trasformista accasatisi nel M5S anticasta e gli ultimi frammenti del massimalismo provenienti dal sessantottismo imperituro, dell’antifascismo militante e dagli ultimi nostalgici del Sol dell’avvenire.

Ciò che li tiene insieme è il mito di una redistribuzione dei redditi infinita sostenuta dalla spesa pubblica.

Sono vecchi che si fanno pagare le loro ubbie ideologiche dai giovani.

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